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Che cos’è
La Cocamidopropil betaina (INCI Cocamidopropyl Betaine, abbr.CAPB) è un tensioattivo (rimuove le particelle di sporco) anfotero di origine sintetica.
Si ottiene a partire dalla cocammide (miscela di ammidi e acidi grassi dall’olio di cocco) e dalla betaina (un amminoacido presente negli alimenti vegetali e soprattutto nella barbabietola).
La Cocamidopropyl Betaine è presente come tensioattivo secondario in molti prodotti per la cura della persona, come shampoo, dentifrici, saponi, detergenti per le mani e per il corpo. Possiede buone proprietà emulsionanti, detergenti, schiumogene stabilizzanti della schiuma e viscosizzanti.
A seconda del pH della formulazione, la cocamidopropil betaina può presentare carica positiva, negativa o entrambe le cariche.
Si presenta sotto forma di liquido trasparente di colore giallo pallido e viene generalmente commercializzata in soluzione acquosa al 30-40%.
E’ compatibile con tutti i tipi di tensioattivi (anionici, cationici, non ionici).
La caratteristica principale della Cocamidopropyl Betaine è quella di ridurre l’aggressività dei tensioattivi primari, in particolare degli alchilsolfati e alchileteresolfati (come Sodium Lauryl Sulfate, Sodium Laureth Sulfate, Ammonium Lauryl Sulfate ecc.).
Uso nei Cosmetici
Cocamidopropyl Betaine è un tensioattivo indicato per la formulazione di tutti i prodotti per la detergenza, anche di quelli specifici per pelli sensibili e delicate.
Come tutti i tensioattivi anfoteri, in virtù della presenza dell’ammonio quaternario, la cocamidopropil betaina possiede proprietà condizionanti nei confronti del capello.
Si utilizza generalmente in concentrazioni comprese fra il 2 e il 10%.
Fa Male?
L’obiettivo di un buon detergente è quello di ottenere una pulizia adeguata ma non eccessiva, e la cocamidopropil betaina è utile per raggiungere questo equilibrio.
Presenta un basso indice di irritazione, è facilmente biodegradabile ed è considerata un ingrediente sicuro.
Tuttavia, alcuni studi indicano che la cocamidopropil betaina è un potenziale allergene 1, 2, 3.
Il rischio di sensibilizzazione deriverebbe dalla presenza di impurità residue del processo di produzione, come amidoamina e 3,3-dimetilaminopropilammina 4.
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